giovedì 19 novembre 2009

un gioco per una vita


chissà cosa sarebbe stato.

se quell'estate passata con uno squinternato sgrammaticato mi avesse fatto capire che ero portato per il golf, forse avrei potuto sceglierlo come professione, invece di credere chissà cosa di me.
ma quell'estate faceva troppo caldo ed io non ero capace, e la fatica tanta.
così in qualche modo, dopo tante vicissitudini è stato costretto lui a farla sua, quella professione strana.
e anche tutti i figli di, cui non appartenevo.
avrei avuto una moglie chic, o forse no, o forse nessuna, e mi sarei trovato solo, a fantasticare di una che sarebbe stata come quella che ho adesso, fortunato senza saperlo.

ma quanta nostalgia, non tanto delle scelte, ma di quelle estati assolute, dove tutto poteva essere senza ma.
di quegli autunni a seguire le gare masticando castagne crude, nel tiepido di ottobre con il sole eterno.
non di quegli inverni dove mi sembrava tutto volesse finire, trascinato via dalla mia fine.

martedì 17 novembre 2009

il dolore di un ritorno

ero un elica genetica, e lo sarò ancora.
niente nostalgia, è finita quell'era e non serve ricordare cose che non sono più , né mai più potrebbero essere le stesse.

ero libero, ed il telefonino non c'era.

ma ero anche triste, come adesso che sono felice, e non sarò mai contento.

se penso a come ho speso male il mio tempo non penso che saprei mai impiegarlo meglio di come ho fatto.

in questa commedia, la mia parte, improvvisata come potevo, non era prevista.

lunedì 9 novembre 2009

O you who turn the wheel and look windward


sappi che entri e non so come mai avvenga.

ma lo voglio.

un tonfo nel vuoto sarebbe il tuo più vero rumore.

venerdì 6 novembre 2009

alla fine, la vita


mentre la guardavo attraverso i grafici delle sue attività vitali non la vedevo e forse volevo che morisse.

le cose sarebbero cambiate comunque e forse sarebbe stato tutto più facile così. o forse no, ma non me lo dicevo.

così ho visto tutto scendere a zero, i camici verdi sbattuti a terra con la cuffia e poi l'ho vista senza entrare, come chi ha paura di profanare un posto sacro e non piangevo.

dirle addio.

sono sceso per dirlo, ma non ricordo bene cosa ho detto.

ma nel parlare, finalmente ho aperto le porte alla vita e ho pianto a singhiozzi, scappato in fondo al giardino, e qualcuno che cercava di consolarmi, di non lasciarmi solo.

come un cane randagio che ha tanto bisogno di coccole ma che se ti avvicini ti ringhia.

mercoledì 4 novembre 2009

funzionava così


funzionava così :

aspettavo che la sua macchina apparisse da dietro la curva, leggermente inclinata dalla velocità con cui correva e dalla voglia che aveva di me.
parcheggiava vicino, scendeva, saliva e toglieva dalla borsetta i documenti che mi dava sorridendo.
anch'io sorridevo, e mi avvicinavo alla reception, scendevo, li davo al portiere che mi dava
la chiave per la felicità di quel giorno.
risalivo, andavo alla camera e già mi toccava e già era duro.
qualche volta ci baciavamo prima di scendere, qualche volta no, poi aprivo la porta entravamo e chiudevo.
abbassavo un po' le tapparelle , qualche volta lei mi era già addosso, molte volte tiravamo indietro le coperte e ci spogliavamo in silenzio in fretta, certe volte mentre seduto sul bordo del letto mi toglievo le scarpe e le calze già nuda mi veniva da dietro e me lo mangiava tutto.
tanto comunque poi la sbattevo sul letto, le spalancavo le gambe e la leccavo a sangue finché
veniva e mentre veniva glielo mettevo dentro cominciando a sbatterla grugnendo mentre lei non faceva altro che gemere e gridare come quando la leccavo finché veniva ancora una, due , tre , quattro, cinque volte forse di più perché poi perdevo il conto standole sopra, aprendola tutta, spingendolo fino in fondo, prendendola da dietro, inculandola, poi fermandomi perché dopo il suo orgasmo anale dovevo tirarlo fuori e pulirlo in bagno per togliere la merda che avevo sulla cappella, poi buttandomi sfinito sul letto lei mi veniva sopra e a forza di gambe si impalava e supplicandomi di venire si godeva lo spettacolo di un uomo che urla e sborra fino a raggiungere
una quiete irreale.

invece tutto questo è stato vero.

non le venivo mai in faccia, sempre in gola quando come una schiava mi spompinava in macchina
e mi sarebbe piaciuto lo spettacolo del suo viso che si copre del mio piacere, e qualche volta, dopo la doccia insieme, quando il tempo era finito, quando ero stanco ma ancora pieno di sperma in bagno mi regalavo ancora un orgasmo sui suoi seni piccoli che avevo strapazzato a morsi la sborrata prima.
la amavo per quel darsi tutta senza regole, per quel desiderio smodato di me, per l'amore che solo lei provava ed io mi/le raccontavo di provare e invece era l'incantesimo di essere desiderato e di sentirmi uomo con cui lei mi dominava totalmente.

ma non gliel'ho mai detto in questo modo.

aspettavo

perlustrando l'orizzonte appoggiato al davanzale della finestra aspettavo ore e ore che mia madre tornasse a prendermi dall'asilo delle suore, barricato nella cucina della madre superiora, impregnato del tanfo del riso bollito che sarebbe stato il mio incubo per anni, dopo aver resistito all'obbligo del sonnellino post pranzo con la testa sul banco, dopo aver visto i miei compagni abbandonare le loro povere zucche al duro del coma ipnotico, dopo aver contemplato il mistero silenzioso dei più piccoli abbandonati troppo piccoli alle impietose cure delle vecchie, dopo essere fuggito al contatto con tutti, dopo aver usato 5 o 10 lire per comprare dolciumi di cui non mi importava, ed averli presi dal cestino di vimini così lussuoso che oltre ad allontanarmi dall'universo degli altri bambini rendeva ancora più lontano il ricordo di mia madre, che poi finalmente appariva e mi dimenticavo tutto e il giorno dopo daccapo.